Le multinazionali hanno spesso dimostrato il loro disprezzo per i cosiddetti Paesi del Terzo Mondo saccheggiando le loro risorse. Le lotte dei contadini e degli indigeni contro questi giganti sembrano destinate a fallire. Pablo Fajardo, da contadino ad avvocato, ha invertito la rotta.

L’amore per il suo popolo e la sua terra lo ha portato a diventare avvocato e difendere 30.000 abitanti della foresta amazzonica contro un gigante dell’industria petrolifera: Texaco-Chevron che nel 2011 è stato condannato a versare 9 miliardi di dollari in riparazione dei danni sociali ed ambientali.

Pablo è nato nella costa ecuadoriana in una povera famiglia di contadini costretta a cercare lavoro nella regione amazzonica. A 14 anni, Pablo ha iniziato a lavorare prima in un’azienda che coltivava la palma africana, poi in una compagnia petrolifera. Come tanti, lavorava molto e guadagnava poco.  “Ho capito che c’erano molte ingiustizie, e sfruttamento”, dice. Nel suo tempo libero frequentava la parrocchia dei Cappuccini.

Due anni dopo il suo arrivo in Amazzonia, con il sostegno della parrocchia e della gente, Pablo ha creato un comitato per la difesa dei diritti umani: “Vi sono stati numerosi casi di violazione dei diritti umani contro popolazioni indigene, donne, contadini e neri. Non avevano nessuno a cui chiedere aiuto”. Nominato presidente del comitato, Pablo, sedicenne, va di villaggio in villaggio con i padri cappuccini, per raccogliere testimonianze dirette delle violazioni subite. E quando accompagnava le vittime dalle autorità per porre denuncia, la risposta era sempre quella di trovare un avvocato, ma “all’epoca non c’erano avvocati che volevano aiutarci – racconta Pablo – Un giorno mi sono detto: diventerò avvocato”. Ma i soldi non bastavano per finanziare gli studi. I Padri Cappuccini, hanno mobilitato molte persone e così ha potuto laurearsi e diventare avvocato. Ma il percorso era ad ostacoli.

Nel 2004, dopo un periodo di persecuzioni e minacce, un fratello di Pablo è stato crudelmente torturato a morte. In verità, la vittima doveva essere lui. Le minacce non sono terminate. “Ogni sera ringrazio Dio perché sono riuscito a vivere un giorno in più – racconta Pablo – La mattina prego: Signore, proteggimi perché io possa continuare a vivere. Dopo trent’anni mi rendo conto che ho imparato e continuo ad imparare dalle popolazioni indigene. Hanno molto da insegnare all’umanità. Gli indigeni dell’Amazzonia sono biblioteche ambulanti”.

Nel 2003, quando è iniziato il processo contro la Chevron in Ecuador, nel Lago Agrio, la gente usciva ogni giorno per manifestare. Gli anziani non indossavano mai le scarpe. Un giovane americano venuto per il processo è stato colpito da questo e in sei mesi ne ha raccolto cinquemila paia e le ha spedite agli indigeni. Loro però hanno continuato a non indossarle: non le mettevano, non perché erano poveri, ma per non rompere il legame tra l’essere umano e la terra.

Al processo, gli indigeni con il loro legale hanno portato le prove dell’inquinamento della terra e dell’acqua che ha causato distruzione di pesci, di animali e di popolazioni. Di fronte a questa strage ambientale gli abitanti si sentivano indifesi perché non sapevano come affrontare il gigante del petrolio. Neanche lo stato sembrava in grado di proteggere i loro diritti.

Pablo spiega che il caso Texaco-Chevron dimostra una profonda mancanza di conoscenza e di rispetto per i popoli indigeni; allo stesso tempo mette in luce la tenacia nella lotta di questi popoli per i loro diritti: “Siamo riusciti a mantenere l’unità nella lotta. Sei popoli indigeni di lingue, tradizioni, costumi e territori diversi, si sono uniti per combattere insieme”. Molti indigeni non hanno avuto la fortuna di poter studiare; tanti non sanno leggere e scrivere. Non si fidano molto dei documenti scritti, ma attribuiscono alla parola data un valore fondamentale. Oggi tutto è cambiato, tutto deve essere scritto, documentato, firmato, timbrato. Senza un documento ufficiale, la parola non ha più valore. Nel difendere gli indigeni, Pablo è stato un ponte tra la sua parola, data agli indios, e la sentenza scritta che condanna Texaco-Chevron, ottenuta nelle austere aule dei tribunali.

In Amazzonia, la posta in gioco è la vita dei popoli e delle generazioni future. “Forse, molte persone negli Stati Uniti o in Europa non si rendono conto di ciò che l’Amazzonia significa per il mondo, per il pianeta”: sono parole di Pablo Fajardo, contadino divenuto avvocato della sua gente e per la sua gente; sono parole di speranza: “il mondo intero ci ascolti”.

(Da Testimoni dell’Amazzonia – http://www.sinodoamazonico.va )