Maria Teresa Lazzarotto, membro dell’Istituto delle missionarie secolari comboniane, è una fra i tanti e tante che hanno camminato sulla scia di san Daniele Comboni concretizzando nella sua breve esistenza alcune caratteristiche fortemente comboniane vivendole nella condizione laicale: un grande amore per Dio e per la missione.
Un amore che si accende in lei come una grande luce capace di orientare tutto il suo essere, le sue scelte quotidiane compresa quella della professione. Già insegnante elementare di ruolo, decide di studiare medicina per servire i più poveri fra i poveri: i malati… Sognava di andare in Africa, ma poi la sua destinazione fu il Brasile.
Vivere da “laici” significa riconoscere l’intrinseco valore e l’originaria bontà delle cose, delle realtà umane e far sì che queste parlino di quel Dio che è entrato nella storia umana prendendone su di sé la polvere e la bellezza.
Maria Teresa ha scelto di essere medico nella convinzione che questa professione sarebbe stata, per lei, il “luogo” privilegiato della manifestazione dell’amore di Dio verso le persone più povere e bisognose, anche se non in modo esclusivo, perché ha saputo vivere con intensità ogni tappa e situazione della vita: mentre studiava e anche dopo il suo ritorno dal Brasile, quando le è stato chiesto un altro servizio.
Ecco come lei stessa parla della tappa cruciale della sua esistenza:
«Con i miei diciotto anni guardavo trionfante alla vita. Tutti mi lusingavano dicendo che ero nata per l’insegnamento. Posso dire che ero, e mi sentivo, felice. C’era però come una nebbia, che a volte diventava più fitta e che, nonostante non mi togliesse mai la serenità, mi lasciava sempre come in attesa di qualcosa. Finché un giorno, accostandomi alla confessione come facevo con frequenza, un sacerdote mi aiutò ad approfondire. Ricordo ancora come se fosse oggi quel giorno: era un giorno nuvoloso d’inverno, e ciò nonostante io uscii dalla chiesa con dentro un sole grande come il mondo; la mia solita nebbia era svanita. Non vedevo niente concretamente di diverso da prima, però c’era molta luce. Mi ritrovai in un processo di formazione personale tanto intenso che non avrei mai immaginato. E quando decisi di sapere cosa avrei fatto della mia vita, chi e quanti avrei reso felici, con chi avrei condiviso ciò che Dio mi aveva dato, presi la risoluzione più folle della mia vita. Lasciai l’insegnamento e cominciai a studiare medicina. Furono anni duri di studio e di esami, quasi senza riposo né respiro, perché non volevo perdere tempo; mi dicevo che c’era un angolo del mondo che aveva bisogno di me per annunciare il messaggio liberatore di Cristo. Vivevo felice. Quando uno si allena per qualcosa, pregusta già misteriosamente il trionfo dell’impresa che si prepara a compiere. Mi sentivo già missionaria. La mia totale consacrazione a Dio in un istituto missionario secolare mi metteva nella condizione di chi sta già collaborando alla salvezza del mondo. Ora sono missionaria in circostanze completamente diverse. Non importa; l’unica cosa importante è essere missionaria, perché, nel progetto di amore di Dio Padre questo è il mio posto».
Colpisce in Maria Teresa la totalità di una donazione vissuta senza calcoli nella quotidianità del servizio, nel rapporto con gli altri… Era nella sua indole il far bene ogni cosa, ma non come fine a se stesso. Il suo studiare la lingua arrivando in Brasile, cercando di imparare anche le espressioni idiomatiche, ne è un esempio. Diventare brasiliana con i brasiliani, parlare come loro per capirli e farsi capire, era fondamentale per il suo essere missionaria, proprio come per Comboni il “farsi africano con gli africani”.
Maria Teresa se n’è andata il 9 novembre 1987: una vita stroncata in un tragico incidente a soli 50 anni, stessa età di Comboni. Guardando al suo vissuto si ha l’impressione che la morte sia stata per lei un compimento, più che un’interruzione.
A cura di Anna Maria Menin