«Resto incantata dalla forza che portano dentro alcune persone, dalla loro capacità di ricostruirsi, di avere fede in quella che, in fondo, è la forza della vita». 

Lisa Thibault, 28 anni, da circa un anno lavora come operatrice dell’accoglienza dei richiedenti asilo. L’ho conosciuta nel 2016 ad un Campo della Famiglia Comboniana, a Este (PD): una bella esperienza di incontro tra giovani italiani e immigrati africani. Ritrovandola al Centro Astalli di Vicenza le ho chiesto che legame ci fosse fra quell’esperienza e la scelta di impegnarsi nell’ambito delle migrazioni. Ecco la sua testimonianza. (Anna Maria Menin)

«Fin da bambina l’ambito delle migrazioni mi ha affascinata. Ho sempre avuto una spinta, forse anche “genetica”, a guardare fuori, a spingermi un po’ più in là, incuriosita dal diverso che mi spingeva fuori da me. Così, prima ho scelto di studiare le lingue e poi ho deciso di proseguire specializzandomi in servizio sociale con un focus sulle migrazioni. È proprio durante il mio percorso di laurea magistrale che ho vissuto l’esperienza del Campo ad Este.

Finita la laurea ho deciso di partire per un servizio civile internazionale in Moldova con Caritas Ambrosiana, per poi passare a lavorare in un campo per richiedenti asilo in Serbia, aperto con l’emergenza nata lungo la rotta balcanica, e infine a collaborare ad un progetto a Port au Prince, ad Haiti, ed ora mi ritrovo qui a Vicenza, al Centro Astalli, associazione che si occupa di accoglienza dei richiedenti asilo.

Questi Paesi, tra loro profondamente diversi, hanno tutti delle lunghe storie di emigrazione che ho imparato a conoscere. In questo percorso ho sempre rintracciato un filo rosso che mi ha condotto fin qui. Tutto quello che ho vissuto ed imparato, le persone che ho incontrato mi hanno dato un nuovo tassello per imparare a leggere in modo diverso questo mondo e questo fenomeno.

Io stessa sono figlia di un francese e di un’italiana nata in Francia. Siamo tutti frutto di incroci ed intrecci ed è sempre importante ricordarcelo. Una mia docente all’università ci ripeteva spesso: “Ragazzi, siamo un po’ tutti arlecchino”.

Da circa un anno sto prestando il mio servizio, come operatrice, al Centro Astalli. L’obiettivo fondamentale dell’accoglienza è rendere le persone autonome, capaci di muoversi in modo indipendente nella vita di tutti i giorni. Ciò significa accompagnarle anche negli aspetti più pratici, come gestire la casa e fare la spesa, imparare a muoversi sul territorio e ad accedere ai servizi, quelli sanitari o anche i più burocratici. Ma penso che questo sia innanzitutto un lavoro basato sulla relazione; altrimenti si fa fatica a costruire un percorso di accompagnamento ad una vita autonoma ed integrata nel territorio.

È un lavoro che mi porta sulle montagne russe: spesso in una stessa giornata riesco a vivere situazioni e stati d’animo contrastanti tra loro. A volte è inevitabile scontrarsi o sentirsi soffocare dalla burocrazia e da un sistema che spesso rende tutto molto macchinoso. Molto spesso, però, resto incantata dalla forza che portano dentro alcune persone, con le loro storie, e dalla loro capacità di ricostruirsi, di avere fede in quella che in fondo, è la forza della vita, la capacità di pensarsi in una vita migliore, anche se con più o meno consapevolezza.

Ricordo che l’“incontrare” l’altro, il rifugiato, l’immigrato, è stato il filo conduttore dell’esperienza del Campo vissuta a Este. Il voler “incontrare” è il punto di partenza in ogni relazione. Incontrare, per me, significa imparare a sentire e a guardare con occhi diversi e, spesso, anche spogliarsi di tante convinzioni occidentali, mettersi su un piano di ascolto dove “tu” ed “io” siamo entrambi portatori di punti di vista, di verità, frutto del nostro vissuto e della nostra storia, ma che, proprio per questo, dobbiamo essere pronti a mettere in discussione.

Sono convinta che il cercare di incontrare è la chiave della relazione, senza la quale non potrei vivere nel quotidiano; anche se non sempre ci si riesce, perché si richiede una disponibilità reciproca che non è sempre scontata.

Mi sono sempre sentita un’inguaribile sognatrice, ultimamente con i piedi un po’ più a terra. Quello che mi spinge e che mi dà forza nel quotidiano è il credere nel valore di ogni vita, sempre.

Porto con me le tante persone che ho incontrato lungo il mio percorso e penso siano proprio loro, con le loro storie, a farmi scegliere ogni giorno quello che faccio.

Lisa Thibault