“Nadia era innamorata del suo servizio ai bambini, e del suo sogno di regalare loro amore, affetti e punti di riferimento, per curare una società che è malata nel profondo”.

Così racconta Massimo Casa, referente locale, nel vicentino, dell’Operazione Mato Grosso, che aveva conosciuto Nadia De Munari, ancora diciasettenne in cerca di capire dove indirizzare la sua voglia di fare qualcosa per gli altri. Nadia partecipava attivamente ai gruppi dell’operazione Mato Grosso della zona, quando negli anni ’90/‘91, ha fatto la prima esperienza in Ecuador, dopodiché è tornata a casa. «Noi l’abbiamo sempre seguita nel suo cammino, anche di formazione», racconta Massimo, sposato con Rossella e quattro figli «la vedevamo come un’altra figlia. Poi ha desiderato ripartire per più tempo ed è arrivata in Perù, nel villaggio di Chiambara, diocesi di Huari, dove faceva la maestra d’asilo e la formatrice di altre maestre. In seguito è sorta l’esigenza di affrontare la realtà della costa del Perù, a Nuevo Chimbote, città sul deserto diventata in pochi anni una metropoli dove la gente vive in baraccopoli, con tante tensioni sociali e situazioni di degrado. Qui abbiamo aperto 5-6 asili dove Nadia seguiva i bambini e la formazione delle maestre, occupandosi anche delle situazioni familiari, perché, quando si entra nella vita di un bambino, inevitabilmente si viene a conoscenza dei drammi familiari, di come la povertà e la miseria arrivino a superare confini inimmaginabili».

Nella notte tra il 20 e 21 aprile Nadia è stata brutalmente aggredita nella sua camera, al centro educativo “Mamma Mia”. Ed Ecco l’eredità che lascia a tutti noi, nelle parole di Mons. Giorgio Barbetta, vescovo di Huari (Perù), intervenuto durante la celebrazione funebre a Schio (VI).

«È successa una cosa più grande di noi, nel male e nel bene.  Nel male: non ce lo aspettavamo; una violenza grande, inattesa, immotivata. Padre Armando (parroco a Nuevo Chimbote) era andato a celebrare la Messa a cui Nadia partecipava insieme alle maestre che vivono con lei. È mattino presto, lei non compare; normalmente è la prima…; è già iniziata la Messa; le ragazze vanno a vedere e la trovano… “Padre Armando vieni! L’hanno colpita a sangue». Allora, via all’ospedale; il pensiero di tutti è salvarla. E invece no; Nadia il sabato 24 aprile alle 3 di mattina ci ha lasciato.

Ed è successa una cosa più grande di noi, nel bene: un faro ha illuminato la vita di Nadia. Cosa viveva? Ma prima ancora: dove viveva? Nell’invasione di Nuovo Cimbote: deserto, sabbia, 80 mila persone che vivono in baracche fatte di stuoie, spesso senza luce, acqua, fogne. I genitori partono per cercare lavoro la mattina e tornano alla sera. E i bambini? Nadia aveva accettato, cinque anni fa, di lasciare la sua piccola e bella missione sulle Ande, accogliendo la proposta di padre Ugo (fondatore dell’Operazione Mato Grosso): «Facciamo degli asili gratuiti nelle invasioni», un angolo di paradiso in questo inferno. Nadia era preoccupata per i bambini. Aveva riunito le maestre, voleva a tutti i costi ricominciare a riunire i bambini dopo la quarantena. Era contenta, correva… È stata fermata dalla violenza mentre correva verso il bene, e questo è più grande anche di ciò che lei poteva immaginare. Il suo sangue, la sua vita sono diventati “seme”, e ha messo radici. A Chimbote nessuno più potrà dimenticarla. Ma non solo, credo che questo seme ha messo e metterà ancora radici nel cuore di tanti ragazzi. Chi riceverà questo seme sentirà dolore e amore indissolubilmente uniti: dal dolore, dal non senso, dal freddo, all’amore, al regalare la vita, al desiderio di Dio.

Vi vorrei lasciare cinque punti che Nadia viveva.

Il primo è stato scritto in vari posti: “Non tenere la vita per te, regalala!”.

Il secondo: “Arriva in fretta al dunque. Sii schietto, sincero; dimmelo in faccia, entra nella mia vita, io nella tua…”. Vi sto dicendo cose che Nadia viveva. A volte era, oserei la parola, fastidiosa, insistente. Quando voleva arrivare ad un punto, te lo ripeteva in faccia… Era la fretta di arrivare alla verità.

Il terzo: “Insieme! Da solo non vai da nessuna parte. Non per conto tuo! Con chi ti confronti?” Penso che lei sia contenta di averci riunito, sia a Chimbote che qui… “Insieme” è una parola che lei direbbe contenta, che la sua vita ci dice.

Il quarto: “Obbedisco”. Nadia ha obbedito anche quando le è stato chiesto qualcosa di scomodo, per esempio di cambiare di posto, di andare in mezzo a un deserto, di caricarsi di una cosa grande, quando forse avrebbe preferito una cosa piccola. Ha obbedito, non passivamente o perché obbligata, ma perché ci credeva.

L’ultima cosa – ve la faccio vedere qui – una candela accesa. Nadia aveva tanti bambini nei suoi asili, circa 400, di diverse confessioni religiose. Padre Ugo aveva detto a lei e anche a padre Armando: “Unite, non dividete, unite le persone, i bambini, le famiglie”.

Allora bisognava cercare dei modi per pregare e mettere dentro al cuore dei bambini il desiderio di Dio. Ma come si fa a non dividere? Uno dei segni era questa candela accesa. Per i bambini accendere la candela voleva dire: “Adesso parliamo con Dio”: segno che c’è qualcosa che devi tenere acceso, qualcosa da attendere, aspettare, sperare, qualcosa oltre a noi, che c’è Qualcuno più in là, più grande di noi, Qualcuno che sfugge alla nostra testa. Chi lo vuole trovare lo cerchi con la vita.

Faccio anch’io, qui, il gesto che faceva Nadia con i bambini quando salutava Dio, perché era finito il momento della preghiera: spegneva la candela con un soffio e mandava un bacio verso l’alto…»