Gianpaolo Romanato

Università Urbaniana – Roma – 17 novembre 2017
Simposio : “Rigenerare l’Africa con l’Africa!”


Per venticinque anni, dal 1856 fino alla morte, avvenuta nel 1881, Daniele Comboni viaggiò ininterrottamente in Europa e in Africa. Viaggiare in Europa era un massacro, ma viaggiare in Africa, allora, era una follia.

Per capire e apprezzare la vita incredibile di quest’uomo che morì a soli cinquant’anni – una delle figure più originali espresse dalla Chiesa negli ultimi secoli, ancora poco conosciuto e poco apprezzato, uno straordinario soggetto cinematografico, se un regista di talento volesse impadronirsene – dobbiamo partire dalla conoscenza che si aveva dell’Africa a metà 800, o meglio, dalla non-conoscenza, dato che allora si sapeva qualcosa, in realtà molto poco, soltanto della fascia mediterranea, ma si ignorava tutto dell’Africa nera, a sud del Sahara.

Il deserto divideva l’Africa dal mondo civile molto più di quanto l’avrebbe divisa un oceano. Dalla fascia desertica fino alla zona del Capo il continente africano era un immenso buco nero. La geografia, la storia, le popolazioni che lo abitavano, le lingue che vi erano parlate, le forme sociali ed economiche, il corso dei fiumi, l’orientamento e l’altezza delle montagne, la presenza o meno di laghi erano avvolti nel buio più assoluto. Terrae incognitae era l’espressione che allora, abitualmente, indicava sulle carte geografiche l’indistinto spazio africano, dove ancora si favoleggiava dei Monti della Luna (ne parla anche Comboni), sulla base di una tradizione che risaliva niente meno che al geografo greco Tolomeo, vissuto quasi duemila anni prima.

Comboni e i suoi missionari, che si mossero nel Sudan e Sud Sudan odierni, non avevano perciò mappe, non avevano punti di riferimento, non avevano protezioni né assistenza, non avevano nulla. Il viaggio per arrivare dal Cairo a Khartoum, l’ultima località dotata di un barlume di organizzazione – prima risalendo il Nilo in barca, poi attraversando a dorso di cammello il micidiale deserto della Nubia, poi di nuovo in barca lungo il Nilo, in balia di trasportatori e cammellieri locali – poteva durare anche tre mesi ed essere letale. Basta questo viaggio, scrisse Comboni “per ammazzare e rendere inetto il missionario”1. Ma poi, a sud di Khartoum, era peggio. Da qui in avanti l’Africa era davvero il nulla.

Se questo era l’ambiente africano del tempo, perché una missione proprio nell’Africa nera? Certamente per portare agli africani la salvezza di Cristo, che era morto e risorto anche per loro. Ma a orientare questa scelta furono in primis ragioni strategiche più generali, legate alla situazione del papato e alla politica europea del tempo…


Africa-e-la-missione-Comboni(1)